DANIELA FRONGIA | INTERVISTA ZERO
Parole
…le parole che liberamente affiorano nella mente quando si lavora, e quelle che servirebbero poi a restituirle per iscritto, sono separate da una distanza enorme. Per queste ultime ci vuole sapienza e competenza. Per mia fortuna, alla testardaggine di rendere in forma scritta alcune idee che mi passano per la testa quando mi dedico ai miei lavori, è arrivato in aiuto un amico…
Seguendo quel suo consiglio ho preso le parole che a volte sento girare nel mio studio e nella mia testa – quelle dell’indice di questo libro* – le ho infilzate, e le ho appese. Come carte moschicide. E ho aspettato che qualcosa del pulviscolo vagante nell’aria vi restasse attaccato. Sperando anche che quelle parole, esposte con tanta evidenza, traessero da sé una qualche potenza e, soprattutto, una loro forza magnetica capace di attirare riflessioni, ricordi, dubbi e stupori. E questi, incollandosi alle parole, ripulissero l’aria circostante**.
* Vivente; Adornos; Fossi; Tatto; Vista; Ritratto; Grammatica; Attrezzi; Linea; Pittura; Ispirazione; Paesaggio (n.d.r.)
** Tullio Pericoli, “Arte a parte”, Adelphi Edizioni, 2021
Quali sono le parole che affiorano nella tua mente (e nel tuo studio) quando lavori?
fili
volume
materia
ombra
vuoto
tempo
ritmo
suono
caos
memoria
_
1 | Qual è l’idea (teorica e/o formale) al centro della tua ricerca artistica?
L’idea alla base della mia ricerca è senz’altro il tempo. Inteso come elemento invisibile e privo di consistenza materiale. Gli intenti sono quelli di rendere l’esperienza temporale materia palpabile.
2 | Da quanto tempo lavori con questa idea e perché?
Lavoro a questa idea (con coscienza) dal 2008 circa. Ritengo il percorso più importante rispetto alla restituzione finale, che comunque non è mai ultima e risulta anch’essa un processo in divenire.
3 | Il mezzo espressivo e i materiali che utilizzi nella tua ricerca, quali questioni -concettuali e tecniche- ti portano ad affrontare?
Le questioni concettuali e tecniche che affronto maggiormente sono l’esperienza del vuoto tattile, del rendere visibile qualcosa che di per sé non ha concretezza. La durata di un progetto finito, intesa come consistenza fisica nel tempo e nello spazio, la sua mutevolezza o dispersione. Il concetto che per me l’opera sia viva la pone in una dimensione di costante cambiamento.
4 | Descrivi il processo di lavoro con cui realizzi le tue opere e l’esperienza da cui ha origine.
Il processo consiste sempre in una o più ripetizioni gestuali che perpetuate nel tempo, a volte giorni, a volte mesi o anni, restituiscono una forma. Questa a volte è stabile e rigida a volte è morbida, leggera, fluttuante o in movimento. Le esperienze da cui hanno origine sono molteplici, spesso appartengono al mio stato d’animo, alle emozioni che vivo in quel preciso periodo o momento, oppure sono proiezioni di pensieri, di ciò che il mio immaginario vive durante l’atto di realizzazione. Ha molta importanza il ‘dove’ sto realizzando l’opera, se in studio, se in un luogo altro e con altre persone. L’esperienza da cui ha origine è solitamente dettata da ciò che accade e vivo in quell’arco tempo.
5 | Definiresti questo processo un “metodo progettuale”? Perché?
Si, questi processi sono il mio metodo progettuale.
Le ripetizioni gestuali sono diventate la mia tecnica di lavoro.
Se il cucire su uno stesso punto fosse prima una sperimentazione atta alla scoperta di me e dell’opera, ora sono quei punti fermi che mi permettono di affinare, approfondire e sviluppare la mia ricerca. Sono l’alfabeto emotivo che mi consente di tradurre in modo altro.
6 | Che importanza riveste la progettualità nel tuo lavoro?
La progettualità è praticamente alla base del mio lavoro. A volte è un pensiero che passa veloce e che cerco di catturare attraverso l’obiettivo della reflex, a volte è un appunto o uno scarabocchio. Stanno lì, fermi in attesa, fino a quando non sento che è il momento di tradurli. Potrei definire un progetto come un’urgenza. Nella mia tipologia di ricerca, soprattutto per quanto riguarda gli inediti, è molto importante l’azione concreta e fisica. Per trasformare un’idea o una bozza ho bisogno di molto tempo, non è mai immediato. E’ nei primi momenti di realizzazione concreta che capisco se un progetto è valido così come pensato in origine oppure se è necessario stravolgerlo. E poi ci son gli ‘errori’, i momenti in cui accade qualcosa che inizi ad amare profondamente.
7 | Che rilevanza hanno, e come influiscono, nella tua produzione, le pratiche di tipo collaborativo?
Le pratiche di tipo collaborativo sono sempre molto forti e importanti, soprattutto per me, che sono una persona introspettiva e che ama molto vivere in solitudine i momenti di ricerca/produzione.
Mi capita comunque spesso di trovarmi in situazioni dove la collaborazione avviene in modo spontaneo e naturale. Sono momenti profondi, di grande crescita e confronto, che hanno avuto, e hanno tuttora, grande rilevanza e influenza sulla mia produzione.
8 | Parlaci del momento in cui consideri un’opera o un progetto “finiti”.
Il momento in cui percepisco un’opera finita è sicuramente quando l’osservazione insiste maggiormente rispetto al gesto. Quando inizio a togliere piuttosto che aggiungere, capisco che l’opera vuol proseguire da sé e mi fermo. Poi ci son le opere in divenire, quelle che ho sviluppato per lavorarci finché sarò in vita.
9 | Qual è l’opera più rappresentativa del tuo percorso artistico? Per quali ragioni?
Credo che sia differentIntensità del 2017, la mia prima sperimentazione su tela del filo che si ripete creando volumi. E’ un’opera che nasce senza un progetto di base, molto sperimentale. Fino a questo momento lavoravo molto sulla bidimensionalità. Improvvisamente iniziai a cucire sempre sullo stesso punto, fino a creare delle piccole montagne di filo teso e ripetuto. Potevo rendere il filo rigido naturalmente e dare delle intensità differenti alle mie azioni. Tutta la mia attuale ricerca su tela prosegue questa ricerca.
10 | Qual è l’opera incompiuta più significativa nel tuo percorso artistico?Che valore ha assunto questa esperienza nella tua ricerca e per il tuo metodo di lavoro?
Dopo la pratica della ripetizione su tela, con cui realizzavo dei pieni rigidi e stabili, ricordo che volevo sperimentare lo spazio e il vuoto. Credo che l’opera più significativa e volutamente incompiuta sia Vuoti Organici, del 2018.
Avevo iniziato a realizzare dei piccoli cerchi di filo di lana, annodandoli uno all’altro come una catena.
Ho proseguito così per ore, fino a creare un tessuto di cerchi che poi ho appeso in studio nel vuoto. Ho subito percepito l’organicità di ciò che stavo sviluppando e così ho proseguito per mesi, modificando continuamente la posizione nello spazio del mio studio. Una volta esposta ho compreso che per adattarla dovevo proseguire il lavoro sul sito ospitante. Questo mi permetteva di farla crescere ulteriormente ad ogni esposizione, percependo sempre l’opera come incompiuta. Da questo momento ho compreso che le mie opere non devono necessariamente avere una restituzione costruttiva finale, anzi, possono svilupparsi e adattarsi nel tempo e nello spazio, mostrando i cambiamenti estetici delle parti più datate rispetto alle nuove, con forme che cambiano anche in base al mio percorso e alla mia esperienza. Sono opere che contengono il passato, il presente e si proiettano nel futuro, ma che comunque prima o poi avranno una fine in quanto prodotte con fili di lana naturale non trattata, e dunque restano un potenziale pasto per le tarme che nel tempo potrebbero distruggere completamente. È la prima del ciclo di opere in divenire.
11 | In che modo la tua produzione artistica si relaziona con il contemporaneo (in termini di idee, linguaggi, metodi, strumenti) e si proietta verso il futuro?
Credo che una parziale riposta sia contenuta all’interno della domanda precedente.
Il mio rapporto con il contemporaneo si basa anche sul superamento del filato inteso come trama e ordito tessile. ll filo è per me materia palpabile che riesce a tradurre i miei sentimenti di fronte alla società odierna e al caos che restituisce. Viviamo in una realtà interconnessa e rapida, dove tutto diventa meccanico, ripetizione, immagine, progresso. Il paradosso della crescita/distruzione.
Interpreto il mondo in cui abito attraverso la ripetizione dei gesti, e cerco calma e introspezione nella lentezza del ritmo creativo. Siamo portati a compiere azioni quotidiane pensandole isolate e irrisorie. Le ripetiamo per anni, fin quando il pianeta inizia a mostrarci il disastro ormai incontenibile e forse irreparabile. Mi proietto nel futuro utilizzando solo materiale organico e biodegradabile, considero l’opera al pari di un corpo vivo, muta e muore per poi trasformarsi in altro.
12 | Secondo te, oggi, la creazione/produzione artistica tout court, con quale questione/ problema/ domanda non può fare a meno di confrontarsi?
L’arte si sa, oggi come ieri è sempre stata qualcosa che in fin dei conti “non serve”, non ha un’utilità primaria per la sopravvivenza. Eppure, nonostante tutto, è necessaria perché ci interroga e ci proietta in altre dimensioni. È la fuoriuscita verso altre realtà e argomenti che siamo in grado di affrontare solo in questo modo. È cultura, impegno, ingegno. Credo che la creazione/produzione debba in qualche modo confrontarsi con le problematiche sociali, culturali e ambientali odierne. Di certo non ci darà delle risposte, ma almeno ci interroga.
Daniela Frongia | Intervista Zero
a cura di Eleonora Angiolini e Laura Vittoria Cherchi