VERONICA MUNTONI | INTERVISTA ZERO
Parole
…le parole che liberamente affiorano nella mente quando si lavora, e quelle che servirebbero poi a restituirle per iscritto, sono separate da una distanza enorme. Per queste ultime ci vuole sapienza e competenza. Per mia fortuna, alla testardaggine di rendere in forma scritta alcune idee che mi passano per la testa quando mi dedico ai miei lavori, è arrivato in aiuto un amico…
Seguendo quel suo consiglio ho preso le parole che a volte sento girare nel mio studio e nella mia testa – quelle dell’indice di questo libro* – le ho infilzate, e le ho appese. Come carte moschicide. E ho aspettato che qualcosa del pulviscolo vagante nell’aria vi restasse attaccato. Sperando anche che quelle parole, esposte con tanta evidenza, traessero da sé una qualche potenza e, soprattutto, una loro forza magnetica capace di attirare riflessioni, ricordi, dubbi e stupori. E questi, incollandosi alle parole, ripulissero l’aria circostante**.
* Vivente; Adornos; Fossi; Tatto; Vista; Ritratto; Grammatica; Attrezzi; Linea; Pittura; Ispirazione; Paesaggio (n.d.r.)
** Tullio Pericoli, “Arte a parte”, Adelphi Edizioni, 2021
Quali sono le parole che affiorano nella tua mente (e nel tuo studio) quando lavori?
ascolto
cura
viaggio
interpretazione
restituzione
domanda
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1 | Qual è l’idea (teorica e/o formale) al centro della tua ricerca artistica?
Al centro del mio lavoro vi è come interesse la persona, l’autoanalisi e la ricerca dell’intimo esistenziale. Utilizzo doni, storie, emozioni di chi ha voglia di raccontarsi, alle volte a parole, altre con i silenzi. Ciò che provo è concentrare il sentimento in una singola immagine senza una chiara narrazione, con la speranza di creare delle connessioni esistenziali.
2 | Da quanto tempo lavori con questa idea e perché?
Riflettendoci, mi verrebbe da dire da sempre. Anche in lavori più remoti, in cui ho utilizzato svariati medium, al centro della mia ricerca vi è sempre stata una sorta d’attrazione verso l’osservazione del percorso esistenziale, personale e non. Per molto tempo è stato un bisogno spinto dalla curiosità e dalla necessità di trovare risposte, offrendomi spesso un lascia passare per realtà a cui diversamente non avrei potuto accedere.
3 | Il mezzo espressivo e i materiali che utilizzi nella tua ricerca, quali questioni -concettuali e tecniche- ti portano ad affrontare?
Nell’ambito fotografico, da diversi anni, riservo una parte puramente tecnica, in cui non mi occupo dell’aspetto concettuale (un ribaltamento prioritario), in cui do spazio alla ricerca di tecniche di fotografia primitiva e alternativa. Questo mi dà modo di avvicinarmi e capire le infinite sfaccettature di questo affascinante mondo e dei suoi protagonisti, che hanno contribuito all’avanzamento nella storia fotografica. Un piacevole salto a ritroso che mi allontana dai soliti schemi, sia tecnici che mentali.
4 | Descrivi il processo di lavoro con cui realizzi le tue opere e l’esperienza da cui ha origine.
Quando penso alla realizzazione di un progetto o di un singolo scatto, dietro c’è quasi sempre un lungo dialogo che scaturisce da input spesso consci, altri meno, che trovano senso di realizzazione dopo tempo. Rivedendo scatti da ieri all’oggi, vedo l’intero lavoro come fosse un personale tracciato emotivo. L’immagine da perseguire appare sempre meno per ispirazione ad altre immagini, ma da momenti di raccoglimento attraverso musica o lettura, e quando accade è un ottimo momento per appuntare bozze, parole e da lì soffermarsi a capire dove questo stimolo può portarmi.
5 | Definiresti questo processo un “metodo progettuale”? Perché?
Si, posso definirlo un metodo progettuale.
6 | Che importanza riveste la progettualità nel tuo lavoro?
Alta, mi piace avere il controllo e la scelta, fin dove possibile averla, per raggiungere l’emozione che voglio trasmettere. Dall’idea che viene setacciata, alla scelta dei luoghi e dei soggetti, sino alla post produzione e alla scelta della stampa e della carta, che ad ogni patinatura trasmette un diverso sentire della stessa immagine.
7 | Che rilevanza hanno, e come influiscono, nella tua produzione, le pratiche di tipo collaborativo?
Il lavoro svolto sin ad oggi si è sempre realizzato grazie alla collaborazione con altre persone. L’ho sempre trovato stimolante e gran parte delle volte mi ha offerto possibilità di confronto e arricchimento.
8 | Parlaci del momento in cui consideri un’opera o un progetto“finiti”.
Quando nel dialogo con l’opera vi è il momento in cui non c’è più nulla da aggiungere né da sottrarre e provo ad uscirne fuori per vedere il tutto con occhi non miei.
9 | Qual è l’opera più rappresentativa del tuo percorso artistico? Per quali ragioni?
Non ho un’opera che più mi rappresenti, tutte insieme sono parte di una unica. Con ciascuna ho un legame che rappresenta un pezzetto del mio vissuto. Ogni scatto ha dietro una storia che mi ha dato più dello scatto stesso.
10 | Qual è l’opera incompiuta più significativa nel tuo percorso artistico? Che valore ha assunto questa esperienza nella tua ricerca e per il tuo metodo di lavoro?
Le opere incompiute per me sono tutte quelle che ho abbandonato nella mia testa, e son tante, e mi consolo con il pensiero che l’incompiuto potrà sempre essere compiuto. Il valore che assume l’incompiuto di un’opera è lo stesso dell’azione mancata al momento giusto, alle volte la si supera, ed altre resta il pentimento.
11 | In che modo la tua produzione artistica si relaziona con il contemporaneo (in termini di idee, linguaggi, metodi, strumenti) e si proietta verso il futuro?
Entra in relazione con il contemporaneo nel momento in cui entro in relazione con gli aspetti del mio presente. Il mio lavoro, sino ad ora, l’ho sempre pensato e realizzato in una dimensione di annullamento temporale (tecnica a parte).
12 | Secondo te, oggi, la creazione/produzione artistica tout court, con quale questione/ problema/ domanda non può fare a meno di confrontarsi?
Credo che la risposta si trovi nella visione, e nelle motivazioni alla pratica dell’autore, e nella capacità di riconoscimento da parte di chi vive l’opera.
Veronica Muntoni | Intervista Zero
a cura di Eleonora Angiolini e Laura Vittoria Cherchi