Gavino Ganau – Intervista Zero

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GAVINO GANAU | INTERVISTA ZERO

Parole

…le parole che liberamente affiorano nella mente quando si lavora, e quelle che servirebbero poi a restituirle per iscritto, sono separate da una distanza enorme. Per queste ultime ci vuole sapienza e competenza. Per mia fortuna, alla testardaggine di rendere in forma scritta alcune idee che mi passano per la testa quando mi dedico ai miei lavori, è arrivato in aiuto un amico…
Seguendo quel suo consiglio ho preso le parole che a volte sento girare nel mio studio e nella mia testa – quelle dell’indice di questo libro* – le ho infilzate, e le ho appese. Come carte moschicide. E ho aspettato che qualcosa del pulviscolo vagante nell’aria vi restasse attaccato. Sperando anche che quelle parole, esposte con tanta evidenza, traessero da sé una qualche potenza e, soprattutto, una loro forza magnetica capace di attirare riflessioni, ricordi, dubbi e stupori. E questi, incollandosi alle parole, ripulissero l’aria circostante**

* Vivente; Adornos; Fossi; Tatto; Vista; Ritratto; Grammatica; Attrezzi; Linea; Pittura; Ispirazione; Paesaggio (n.d.r.)
** Tullio Pericoli, “Arte a parte”, Adelphi Edizioni, 2021

Quali sono le parole che affiorano nella tua mente (e nel tuo studio) quando lavori?

casa
riflessione
progetto
parole
stesura
silenzio
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1 | Qual è l’idea (teorica e/o formale) al centro della tua ricerca artistica?
Ho iniziato sin da subito con un mix di influenze musicali, letterarie e cinematografiche, determinanti per mettere a punto la mia idea di opera pittorica in bianco e nero di impianto mediale. Pochi i riferimenti alla vita reale, ho agito, quasi sempre, decostruendo e rielaborando gli input che ricevevo da altri media creativi, allo stesso tempo humus e tessuto connettivo generatori di visioni a volte malinconiche, altre riflessive, spesso dure e fredde. Questo sentire si è gradualmente spostato verso riferimenti differenti, più vicini alla vita reale, alle persone comuni (un’espressione che non mi piace, ma utile a capirci), un tentativo di creare una metafora visiva che non partisse da qualcosa che era già metafora, stanco del forte rischio tautologico inscritto in questa metodologia. L’uso del bianco e nero era ancora centrale, ma con un approccio al soggetto dell’opera più agganciato alla realtà, a situazioni rappresentative di sentimenti comuni, a un immaginario vario, metropolitano o di una natura idealizzata, a volte messi a frizione tra loro. Questo sino alla fine del 2017 quando ho capito che il processo si era inceppato e cristallizzato. Ho preso la decisione, personalmente non facile, di non utilizzare uno degli elementi chiave della mia poetica: il bianco e nero. Da lì è stato tutto un aprirsi di percorsi, stilemi e sperimentazioni cromatiche e formali apparentemente caotiche, come se fossi in uno stato di ubriacatura pittorica, ma caratterizzate, in realtà, da un ordine preciso. Diverse le serie di lavori che viaggiano, tutt’ora, affiancate, ognuna con un suo perché concettuale, uno sviluppo formale autonomo e definito. La natura idealizzata, archetipica e falsamente sognante dei “Birdtree”, l’artificialità androide dei “Kaleidos”, la vigile attesa delle donne di “The Truth”, l’azione contemplativa in “A new marketable series”. Per ultimi i #MasterSongSmith e i #Writers, un percorso di ritrattistica/omaggio su carta a personaggi importanti della musica e della scrittura dal secondo dopoguerra a oggi.

2 | Da quanto tempo lavori con questa idea e perché?
La prima volta che ho intuito di aver realizzato qualcosa che si avvicinasse all’idea di lavoro con un briciolo di originalità risale al 1995. Il perché è già intuibile nelle precedente risposta e risiede nel fatto che non potevo fare a meno di considerare la mia opera come atto d’amore verso la creatività umana, la letteratura, il cinema, la musica e tutto ciò che è fatto estetico naturale e culturale: la forma è sostanza. Non è difficile farsi attraversare da tutto questo e prendere ciò che serve, decostruire e riassemblare per dare la propria versione.

3 | Il mezzo espressivo e i materiali che utilizzi nella tua ricerca, quali questioni -concettuali e tecniche- ti portano ad affrontare?
Per molto tempo ho utilizzato la pittura in un modo poco pittorico, concentrandomi più sulla necessità di un concetto forte supportato da una tecnica sufficiente. Non mi consideravo un vero e proprio pittore, nonostante utilizzassi tale mezzo. La coscienza di esserlo (un pittore) l’ho sviluppata solo da qualche anno e ne sto capendo da poco l’importanza. In realtà sto realizzando sempre più che l’idea alla base dell’opera e il modo attraverso cui costruirla sono più legati di quanto credessi. È come se stessi colmando una distanza tra i due aspetti, avvicinandomi all’idea che possano e debbano fondersi, forse una chimera, ma ciò che conta, per me, è la spinta verso questo risultato (im)possibile.

4 | Descrivi il processo di lavoro con cui realizzi le tue opere e l’esperienza da cui ha origine.
Il processo ha inizio sempre da una suggestione, una notizia, la visione di qualcosa che mi ha colpito, una o più parole che si svelano e mi spingono verso un processo istintivo di ricerca di materiale visivo di ogni genere, di ogni mezzo che possa concretizzare, possa far apparire ciò che cullo in me. Individuati dei frame di partenza inizio a mischiarli con un programma grafico al pc, modifico, aggiungo, tolgo sino a quando non ottengo un’immagine progettuale che collimi col mio intendimento iniziale, riporto uno schema a matita del progetto su tela e, poi, dipingo.

5 | Definiresti questo processo un “metodo progettuale”? Perché?
Assolutamente. D’altronde ho indicato la parola progetto tra quelle che affiorano naturalmente quando sono in studio. Debbo sempre partire da un concetto-guida scatenante. Il processo che segue è sempre lo stesso: frame di partenza, elaborazione degli stessi al pc sino a trovare equilibrio formale e concettuale. La mia non è certo una pittura di pancia, anche se, da poco, la sento in alcune occasioni più libera, più gestuale.

6 | Che importanza riveste la progettualità nel tuo lavoro?
È, come accennavo prima, fondamentale.

7 | Che rilevanza hanno, e come influiscono, nella tua produzione, le pratiche di tipo collaborativo?
Ho realizzato tre progetti di tipo collaborativo ed è stato molto bello. Il primo, denominato “Endimione”, col mio caro amico e teorico Franco Masia che mi ha voluto come partner per dare vita ad una vera e propria trasposizione di profili astrologici, da lui sapientemente elaborati, in visioni pittoriche. Un percorso impegnativo e profondo, ricco di significati e soddisfazioni. Il secondo con la talentuosa fotografa Francesca Randi, intitolato “Crossing Worlds”, concepito per una bi-personale al L.E.M. di Sassari. Abbiamo lavorato con grande intensità e accordo, cercando di fondere il nostro operare, pur mantenendo le nostra identità formali e concettuali, facendole confluire, nel concreto, in una esposizione che ricordiamo ancora intensamente. Il terzo, con mia figlia Alice, è cominciato come un gioco che si è poi concretizzato in un vero e proprio progetto, “Preview of Cloudland”, e in due mostre conseguenti. Ci siamo aiutati reciprocamente nel creare dei personaggi fantasy protagonisti di una storia creata dall’abile penna di mia figlia e dai miei pennelli in un’iterazione paritetica, densa, capace di dare forma efficace ai soggetti dell’avventura.

8 | Parlaci del momento in cui consideri un’opera o un progetto“finiti”.
Quando penso di aver esaurito l’energia sullo stessa e quando, tecnicamente, una pennellata in più nulla aggiungerebbe, anzi potrebbe togliere.

9 | Qual è l’opera più rappresentativa del tuo percorso artistico? Per quali ragioni?
A questa domanda è molto difficile rispondere, credo che, in realtà, posso considerare un momento determinante quello segnato dal corpus di opere create per la personale al Man di Nuoro del 2001 curata da Claudia Colasanti. Ho dovuto fare in poco tempo un balzo concettuale e tecnico di proporzioni, per me, enormi. È lì che ho capito di poter avere qualcosa da dire.

10 | Qual è l’opera incompiuta più significativa nel tuo percorso artistico?Che valore ha assunto questa esperienza nella tua ricerca e per il tuo metodo di lavoro?
Sinceramente non c’è un’incompiuta significativa nel mio percorso.

11 | In che modo la tua produzione artistica si relaziona con il contemporaneo (in termini di idee, linguaggi, metodi, strumenti) e si proietta verso il futuro?
Bella domanda, difficile risposta. Si relaziona, come ho detto prima, per l’humus da cui trarre linfa, per lo sfruttamento dei mezzi digitali necessari a ideare le visioni da tradurre con l’arcaico mezzo della pittura. Si proietta verso il futuro in una polisemicità che non so se vorrò o riuscirò a ridurre.

12 | Secondo te, oggi, la creazione/produzione artistica tout court, con quale questione/ problema/ domanda non può fare a meno di confrontarsi?
Quanto e come pensiamo di continuare a produrre immagini e suggestioni “artistiche” in questo infinito, sterminato unicum visivo?

Gavino Ganau | Intervista Zero
a cura di Eleonora Angiolini e Laura Vittoria Cherchi