Sabrina Oppo – Intervista Zero

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SABRINA OPPO | INTERVISTA ZERO

Parole

…le parole che liberamente affiorano nella mente quando si lavora, e quelle che servirebbero poi a restituirle per iscritto, sono separate da una distanza enorme. Per queste ultime ci vuole sapienza e competenza. Per mia fortuna, alla testardaggine di rendere in forma scritta alcune idee che mi passano per la testa quando mi dedico ai miei lavori, è arrivato in aiuto un amico…
Seguendo quel suo consiglio ho preso le parole che a volte sento girare nel mio studio e nella mia testa – quelle dell’indice di questo libro* – le ho infilzate, e le ho appese. Come carte moschicide. E ho aspettato che qualcosa del pulviscolo vagante nell’aria vi restasse attaccato. Sperando anche che quelle parole, esposte con tanta evidenza, traessero da sé una qualche potenza e, soprattutto, una loro forza magnetica capace di attirare riflessioni, ricordi, dubbi e stupori. E questi, incollandosi alle parole, ripulissero l’aria circostante**

* Vivente; Adornos; Fossi; Tatto; Vista; Ritratto; Grammatica; Attrezzi; Linea; Pittura; Ispirazione; Paesaggio (n.d.r.)
** Tullio Pericoli, “Arte a parte”, Adelphi Edizioni, 2021

Quali sono le parole che affiorano nella tua mente (e nel tuo studio) quando lavori?

natura
limite
volo
interiorità
metamorfosi
effimero
spazi
infinito
emozioni
paesaggio
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1 | Qual è l’idea (teorica e/o formale) al centro della tua ricerca artistica?
È un’idea sicuramente fissa e mutevole allo stesso tempo (come me). Credo di non aver avuto mai chiaro niente apparentemente, ma è sempre stato tutto collegato all’esistenza, all’essere, al modificarsi, alle mutazioni più interiori. Ci sono ferite che non si vedono e non si vedranno mai, ma son più forti di quelle visibili. Ultimamente è l’appartenere a qualcosa di più grande di me, di noi, del tutto.

2 | Da quanto tempo lavori con questa idea e perché?
Lavoro su questo probabilmente da sempre in maniera più o meno inconscia. Forse è una ricerca di comprensione del mondo, di domande e risposte, riflessioni. È, forse, un dialogo con l’universo. Una ricerca di me stessa. Probabilmente interpretazione del luogo che sono stata e che sono diventata, e di quei luoghi che mi circondano.

3 | Il mezzo espressivo e i materiali che utilizzi nella tua ricerca, quali questioni -concettuali e tecniche- ti portano ad affrontare?
Nel tempo ho utilizzato molte tecniche e molti materiali differenti tra loro, che cambiano con me. Non so se ci sia una costante, un filo che lega i materiali che utilizzo se non in ciò che voglio esprimere. Dai materiali organici ultra delicati sono passata negli ultimi lavori  a dei materiali super resistenti, freddi e rigidi. I luoghi, spesso, anzi quasi sempre, portano a dei cambiamenti radicali. I materiali alle volte sono la nascita di un lavoro per me, altre volte il mezzo che mi permette di realizzarlo. È tutto in continua evoluzione in base a ciò che in quel momento ha la priorità di essere espresso.

4 | Descrivi il processo di lavoro con cui realizzi le tue opere e l’esperienza da cui ha origine.
L’esperienza da cui ha origine il lavoro è sicuramente la vita e la sua essenza, il ciclo vitale che comprende anche la morte, necessariamente. Il processo, come dicevo anche prima, nasce spesso in maniere differenti. Alcune volte nasce da una traccia, da una frase, da un pensiero, e in quel caso ci sono sempre degli approfondimenti, una ricerca, la nascita di un un’idea che viene sviluppata alle volte con uno studio grafico, alle volte con uno studio sul pratico che simula poi (parlo di installazioni site specific) la realizzazione vera e propria in un determinato ambiente. Spesso nasce dal luogo. In alcuni lavori l’idea nasce dai materiali che intendo utilizzare, mi è capitato di fare dei lavori in cui tutto l’aspetto materiale e visibile era stato scelto per un preciso motivo. Come in EROMA: dalla scelta della carta utilizzata, le scritte battute a macchina più volte con pochissimo inchiostro in modo tale che il foglio venisse inciso e in alcuni casi perforato dal ferro. E anche il modo in cui i fogli pendevano per metà dalla parete in modo tale che un alito di vento o la vicinanza del visitatore li facesse muovere. Ogni cosa aveva un suo significato relativo a quel lavoro. In altri casi, il materiale è un mezzo per poter realizzare l’idea. Ha sempre e comunque una sua importanza, è sempre e comunque scelto, non un caso, ma magari per aspetti più tecnici. Il processo non è mai lo stesso per ciascun lavoro.

5 | Definiresti questo processo un “metodo progettuale”? Perché?
Magari lo definirei un metodo progettuale che non ha sempre, per forza, le stesse fasi obbligate.

6 | Che importanza riveste la progettualità nel tuo lavoro?
La progettualità è molto importante. L’Istituto d’Arte per questo è stato fondamentale. Abituarsi a lavorare seguendo un progetto ora mi permette, in alcuni casi, di poter realizzare un’opera anche saltando alcune fasi di studio che grazie all’esperienza diventano più immediate. Poi a seconda della complessità del lavoro ci sono delle necessità e delle fasi di studio più o meno complicate.

7 | Che rilevanza hanno, e come influiscono, nella tua produzione, le pratiche di tipo collaborativo?
Mi è capitato spesso di collaborare con altri artisti e altre figure, ritengo che sia importante avere questi scambi, perché di questo si tratta. Io mi sono sentita arricchita nelle collaborazioni e anche nel confronto con gli altri, è qualcosa che ti permette di crescere sotto vari punti di vista. Non nascondo che all’inizio mi sembrava essere qualcosa di molto complicato. Ma sono cresciuta molto da allora.

8 | Parlaci del momento in cui consideri un’opera o un progetto“finiti”.
In realtà non lo so. Ultimamente, lavorando con del materiale organico, ritengo che quei lavori continuino ad avere dei cambiamenti e li ritengo perciò infiniti, e questo aspetto mi piace tantissimo. Riprende il fatto che si sia in continua mutazione, e questo è uno dei punti fondamentale della mia poetica, se così si può dire.

9 | Qual è l’opera più rappresentativa del tuo percorso artistico? Per quali ragioni?
Non saprei dirlo, però ce ne sono alcune che amo particolarmente a distanza di anni. Forse per il coinvolgimento e il trasporto nel momento in cui le ho concepite e realizzate. Potrei dire Black Out (momentanea assenza di luce), ma lo è sempre anche l’ultimo lavoro, in questo caso Come è possibile che il cielo notturno sia buio.

10 | Qual è l’opera incompiuta più significativa nel tuo percorso artistico?Che valore ha assunto questa esperienza nella tua ricerca e per il tuo metodo di lavoro?
Forse sono tutte incompiute, soprattutto le installazioni che spesso vorrei poter continuare, come Wunderkammer, lo scrigno dell’entomologo del 2020 che vorrei diventasse un grande labirinto, ma magari resterà per sempre solo il centro di esso, chissà. Per ora è finito, ma niente è per sempre, così potrebbe mutare, e nel caso specifico diventare un grande labirinto.

11 | In che modo la tua produzione artistica si relaziona con il contemporaneo (in termini di idee, linguaggi, metodi, strumenti) e si proietta verso il futuro?
Forse per i temi, i materiali o i linguaggi… non saprei dire se riescano ad essere proiettati verso il futuro. Mi pare già complesso essere proiettati sul presente. Mi piacerebbe rivolgere la domanda a voi.

12 | Secondo te, oggi, la creazione/produzione artistica tout court, con quale questione/ problema/ domanda non può fare a meno di confrontarsi?
Ma… credo che non possa fare a meno di confrontarsi con la realtà, anzi scontrarsi con la realtà. Sembra di andare contro i mulini a vento in una società in cui l’arte sembra quasi non esistere, quando in realtà dovrebbe essere l’aria che respiriamo. Ho sempre avuto un po’ quest’idea di distanza… nonostante il fatto che molte forme d’arte, come l’arte partecipata o il muralismo e la street art, vadano ad infilarsi in varie parti di società.

Sabrina Oppo | Intervista Zero
a cura di Eleonora Angiolini e Laura Vittoria Cherchi