Roberto Chessa – Intervista Zero

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ROBERTO CHESSA  | INTERVISTA ZERO

Parole

…le parole che liberamente affiorano nella mente quando si lavora, e quelle che servirebbero poi a restituirle per iscritto, sono separate da una distanza enorme. Per queste ultime ci vuole sapienza e competenza. Per mia fortuna, alla testardaggine di rendere in forma scritta alcune idee che mi passano per la testa quando mi dedico ai miei lavori, è arrivato in aiuto un amico…
Seguendo quel suo consiglio ho preso le parole che a volte sento girare nel mio studio e nella mia testa – quelle dell’indice di questo libro* – le ho infilzate, e le ho appese. Come carte moschicide. E ho aspettato che qualcosa del pulviscolo vagante nell’aria vi restasse attaccato. Sperando anche che quelle parole, esposte con tanta evidenza, traessero da sé una qualche potenza e, soprattutto, una loro forza magnetica capace di attirare riflessioni, ricordi, dubbi e stupori. E questi, incollandosi alle parole, ripulissero l’aria circostante**

* Vivente; Adornos; Fossi; Tatto; Vista; Ritratto; Grammatica; Attrezzi; Linea; Pittura; Ispirazione; Paesaggio (n.d.r.)
** Tullio Pericoli, “Arte a parte”, Adelphi Edizioni, 2021

Quali sono le parole che affiorano nella tua mente (e nel tuo studio) quando lavori?

forma
virtuale
monumentalità
persuasione
tensione
archetipo
captare
solido
dualismo
alchimia

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1 | Qual è l’idea (teorica e/o formale) al centro della tua ricerca artistica?
Definire un percorso teorico è difficile e troppo limitativo, soprattutto nel momento in cui questo risulta essere in corso d’opera. Il punto di partenza è sicuramente la mia formazione, il mio passato legato alla urban culture, i graffiti, la breakdance. Questo legame indissolubile con la street culture mi ha permesso di elaborare un linguaggio estrapolando alcuni elementi essenziali, tra cui la tridimensionalità, la monumentalità, la geometria delle lettere nei graffiti, ma anche il linguaggio del corpo nella breakdance che si muove nello spazio, esplorando le molteplici possibilità e soprattutto il concetto di freeze (congelamento) come struttura solida e in perfetto equilibrio nello spazio. Le geometrie hanno un ruolo fondamentale nella mia ricerca, esse sono generatrici di forme e contenuto, essenziali se si vuole esplorare lo spazio pittorico, costruendo su di esse un modello di creazione/immaginazione come concetto primordiale e assoluto. È attraverso questo legame tra istinto e controllo creativo che si sviluppano quelle che mi piace definire “intuizione geometriche”, una grammatica concettuale che si concretizza attraverso la creazione di strutture poligonali dal forte impatto visivo. Nella creazione accade l’inatteso, ossia la percezione di qualcosa che si manifesta nelle forme; come disse Keynes: “L’inevitabile non accade mai, l’inatteso sempre”. È attraverso la percezione che si manifesta l’elemento vitale della pittura, insita nell’uomo e remissione della memoria di un corpo che vive nel suo spazio temporale.

2 | Da quanto tempo lavori con questa idea e perché?
Ho iniziato questo ricerca artistica nel 2016, dopo aver frequentato lo studio di Giovanni Manunta Pastorello. La pittura geometrica si è materializzata dopo un azzeramento completo delle soluzioni precedenti. È stato un percorso che è poi maturato dopo aver riscoperto alcuni disegni e pitture realizzate al liceo. L’idea di riprendere quelle forme così naturali e forse prive di compromessi, mi ha riportato ad una naturale freschezza pittorica che ha rinvigorito il mio linguaggio. Il passaggio successivo è stato concretizzare le forme geometriche che prepotenti dominavano il piano pittorico.

3 | Il mezzo espressivo e i materiali che utilizzi nella tua ricerca, quali questioni -concettuali e tecniche- ti portano ad affrontare? L’elemento concettuale non è per me di primaria importanza, perché esso, quasi sempre, è libero di prendere corpo nell’osservatore ogni volta maniera diversa. L’opera infatti si completerà nel fruitore che costruirà la propria interpretazione in base a come percepirà l’immagine. L’aspetto tecnico invece ha molta importanza per arrivare al concepimento dell’opera. Lo studio delle degli elementi geometrici che si stratificano e si sovrappongono, le ombre che si riflettono sui piani e determinano la tridimensionalità e soprattutto la capacità di generare le forme a mano libera, senza l’intervento di squadre e righe che mi potrebbero aiutare nella realizzazione. Questo fattore è determinante nella mia pittura, perché mi spinge a cercare la perfezione delle forme, e soprattutto nella cura dei dettagli, che a prima vista sembrano qualcosa di creato artificialmente.

4 | Descrivi il processo di lavoro con cui realizzi le tue opere e l’esperienza da cui ha origine.
Il punto di partenza è quello che mi piace definire “livello zero”. Dal bianco assoluto inizio a generare la prime forme che sovrappongo in maniera non programmata, invadendo lo spazio attraverso l’intuizione che esso mi trasmette. L’intersecarsi dei piani ha su di me un potere quasi alchemico, proiettandomi nello spazio e indagando la forma come fosse realizzata in terza dimensione, manipolandola come una scultura, aggiungendo e togliendo gli elementi finché la struttura non si concretizza, assumendo un aspetto solido e compatto che si offre all’osservatore alle più svariate interpretazioni.

5 | Definiresti questo processo un “metodo progettuale”? Perché?
No, non posso definire questo un metodo progettuale perché cambia ogni volta a suo modo. È un processo di sperimentazione e di comprensione dell’opera, nulla è deciso e se lo fosse sicuramente alla fine cambierebbe la direzione diventando altro.

6 | Che importanza riveste la progettualità nel tuo lavoro?
La progettazione non è un aspetto decisivo per il mio lavoro, la maggior parte delle volte eseguo l’opera senza progetto. Mi piace la capacità che ha la pittura di sorprendere, veicolandosi attraverso le mani dell’artista.

7 | Che rilevanza hanno, e come influiscono, nella tua produzione, le pratiche di tipo collaborativo?
Capita spesso di confrontarmi con altri artisti, di cogliere degli elementi interessanti che intravedo anche nel mio lavoro. La collaborazione può avere un ruolo importante per la crescita al fine di migliorare le ricerche di entrambe le parti. Evadere dalla consuetudine può aprire la porta a nuove esperienze.

8 | Parlaci del momento in cui consideri un’opera o un progetto“finiti”.
Difficile dire quando un’opera sia realmente finita, forse quando non si sente più il bisogno di aggiungere nient’altro. Guardo le opere anche a distanza di tempo in modo da poterle analizzare al meglio e capire se posso aggiungere qualcosa. Molto spesso può capitare anche di finire alcune opere dopo mesi.

9 | Qual è l’opera più rappresentativa del tuo percorso artistico? Per quali ragioni?
Non credo di poter indicare un’opera che sia l’emblema del mio percorso artistico, questo perché sono sempre alla ricerca del valore aggiunto, come qualcosa che sta al di là della mia percezione visiva e che aspetta solo di essere scoperto.
Una tra le opere più rappresentative della mia ricerca artistica, però, è sicuramente quella dal titolo “The sensor Society”. L’opera si mostra all’osservatore con una struttura che richiama le forme naturali, una pianta costruita attraverso l’utilizzo di piani geometrici dall’aspetto tagliente e dotata di cunei simili a spine. A prima vista ci sembra di cogliere la somiglianza con un cactus, ma poi ci si accorge che nulla ha che fare con essa, se non nel significato intrinseco che esso nasconde. Esiste una dualità tra immagine e non immagine, una tensione che sono indici di cose, sintomi, scritture, mappe, astrazioni della storia che inaspettatamente ritorna. L’opera ha origine da una precedente serie di lavori dal titolo “Realtà aumentata”; essi sono la rappresentazione dell’evoluzione tecnologica nella società, come arricchimento della percezione sensoriale. Proprio per questo “The sensor society” incarna l’emblema del progresso. È l’inizio di una nuova metamorfosi sul filo del cambiamento, tutto per natura cambia e si adatta, ogni cosa con il tempo si trasforma per sopravvivere al clima avverso. I cactus per esempio posseggono le spine a seguito dell’adattamento ad un clima ostile. In principio erano foglie, ma tali piante si sono evolute per sopravvivere. Le spine sono l’elemento simbolico di un adeguamento al futuro, un’esistenza monitorata da sensori capaci di rivelarci tutto in un istante. Oggi l’uomo cerca soluzioni adatte alla propria esistenza, il tutto determinato da suggestioni che durano ormai da secoli. Relazioni, comunicazioni aumentate, tempo senza spazio, in una surreale sensazione di sospensione. In questa modernità l’istante è una nuova unità di misura che serve a dominare il tempo. La comunicazione esplode trasportata dal flusso veloce della tecnologia che agisce e semplifica tutto. Una tecnologia capace di monitorare la nostra esistenza. È un mondo parallelo quello che ci è stato creato, fuori dalla dimensione fisica e razionale.

10 | Qual è l’opera incompiuta più significativa nel tuo percorso artistico?Che valore ha assunto questa esperienza nella tua ricerca e per il tuo metodo di lavoro?
L’opera incompiuta più significativa è un progetto realizzato nel 2015 durante gli anni dell’Accademia. Il titolo del progetto era “ La zattera di Lampedusa“. L’ opera già dal titolo mostra un legame inscindibile con la famosa opera di Theodorè Gèricult, “La zattera della medusa”. Il gioco di parole usato nella modifica del titolo serviva a rimarcare uno dei problemi fondamentali di immigrazione nel panorama italiano e mondiale. Ai tempi dell’Accademia, l’interesse verso i temi di natura sociale era molto intenso e le opere realizzate negli anni spaziavano dalla pittura alle istallazioni. La zattera di Lampedusa prevedeva la costruzione di tre installazioni con un focus sul problema dell’immigrazione e dei C.P.T. (Centri di Permanenza Temporanea), strutture sovraffollate e caratterizzate da situazioni di scarsa igiene. La prima installazione era una struttura realizzata in legno simile ad una cabina, nel momento in cui l’ospite aveva accesso all’interno, un dispositivo dava il benvenuto in tutte le lingue del mondo. Sempre all’interno un calorifero emanava calore creando quasi una sensazione di soffocamento e di disagio. La seconda installazione era stata progettata considerando la struttura del piano superiore dell’accademia, da cui si poteva accedere da due rampe di scale opposte. Per i giorni seguenti all’installazione, era impossibile accedere al piano superiore ed attraversarlo da parte a parte a causa di una ostruzione del piano con 200 metri catene. Lo scopo dell’opera era quello di riaffermare l’impossibilita di potersi muovere liberamente da una parte all’altra e fondamentale era il richiamo al problema sull’immigrazione tra le nazioni. La terza e ultima installazione era la più importante del progetto, si trattava della costruzione di una zattera di dimensioni reali, dalle fattezze simili a quella dipinta da Theodore Gericault nella “Zattera della medusa”. L’imbarcazione riportava all’idea che essa stessa avesse navigato nel tempo fino ai giorni nostri, ormeggiandosi nel piazzale, rinnovando la contemporaneità di questo problema. Un tema molto importante che ancora oggi affligge il nostro paese, oggetto di dibattito quotidiano e di crisi umanitaria mondiale.
Oggi a distanza di anni percepisco questo progetto come opera incompiuta perché in essa sentivo la capacità di poter comunicare ancora qualcosa, un progetto dalle notevoli potenzialità, che per di più non erano state percepite da coloro che dovevano valutarne la forza espressiva.

11 | In che modo la tua produzione artistica si relaziona con il contemporaneo (in termini di idee, linguaggi, metodi, strumenti) e si proietta verso il futuro?
Il concetto di contemporaneo è per me qualcosa di molto astratto e poco tangibile, data la molteplicità dei linguaggi esistenti. La pittura, come medium del linguaggio visivo, vive delle stagioni che si ripetono e si proiettano nel nostro tempo. In questo senso io rinnovo la mia contemporaneità nel concetto di identità e di resistenza. Come disse Picasso: “È il movimento della pittura che mi interessa, il passaggio drammatico da uno sforzo all’altro, anche se questi sforzi non sono portati sino in fondo”. Dentro queste parole intravedo il vero valore che ha la pittura, l’esigenza del fare pittorico come mezzo per comunicare attraverso la speranza che ogni volta qualcosa si rinnovi, di poter cogliere sempre qualcosa di diverso e attuale del nostro tempo. Contemporaneità è vivere il proprio tempo attraverso la nostra ricerca e le scelte che abbiamo intrapreso. Tutto questo si intravede nelle forme e nelle soluzioni che si proiettano nella pittura dell’artista, rivelatrici di un possibile e probabile futuro.

12 | Secondo te, oggi, la creazione/produzione artistica tout court, con quale questione/ problema/ domanda non può fare a meno di confrontarsi?
La produzione tout court ha il problema di abbassare notevolmente la qualità del prodotto artistico. In questa contemporaneità sembra che tutto sia possibile e alla portata di tutti. Questa capacità di estensione sulle cose è principalmente causata dall’evoluzione tecnologia che ha creato un cortocircuito dal punto di vista mediatico. L’opera d’arte non viene completamente assorbita e si confonde in quella che possiamo identificare come “omologazione visiva”. La domanda è strettamente legata alla sua accessibilità e sulla capacita di rendere tutto mercificazione.

Roberto Chessa | Intervista Zero
a cura di Eleonora Angiolini e Laura Vittoria Cherchi