FRANCESCA RANDI | INTERVISTA ZERO
Parole
…le parole che liberamente affiorano nella mente quando si lavora, e quelle che servirebbero poi a restituirle per iscritto, sono separate da una distanza enorme. Per queste ultime ci vuole sapienza e competenza. Per mia fortuna, alla testardaggine di rendere in forma scritta alcune idee che mi passano per la testa quando mi dedico ai miei lavori, è arrivato in aiuto un amico…
Seguendo quel suo consiglio ho preso le parole che a volte sento girare nel mio studio e nella mia testa – quelle dell’indice di questo libro* – le ho infilzate, e le ho appese. Come carte moschicide. E ho aspettato che qualcosa del pulviscolo vagante nell’aria vi restasse attaccato. Sperando anche che quelle parole, esposte con tanta evidenza, traessero da sé una qualche potenza e, soprattutto, una loro forza magnetica capace di attirare riflessioni, ricordi, dubbi e stupori. E questi, incollandosi alle parole, ripulissero l’aria circostante**.
* Vivente; Adornos; Fossi; Tatto; Vista; Ritratto; Grammatica; Attrezzi; Linea; Pittura; Ispirazione; Paesaggio (n.d.r.)
** Tullio Pericoli, “Arte a parte”, Adelphi Edizioni, 2021
Quali sono le parole che affiorano nella tua mente (e nel tuo studio) quando lavori?
sogno
incubo
inconscio
perturbante
doppelganger
attesa
notte
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1 | Qual è l’idea (teorica e/o formale) al centro della tua ricerca artistica?
La mia ricerca si basa principalmente sul concetto di doppio e perturbante. Il Perturbante rappresenta tutto ciò che pensavamo fosse rimosso dalla nostra coscienza, ovvero complessi infantili, traumi, convinzioni personali o pregiudizi. Questo può riemergere in condizioni particolari, creando una situazione instabile alla nostra identità e generando uno stato di forte angoscia. Mi considero una fotografa-sognatrice, cerco di decifrare quello che ho sognato, e di ricrearlo attraverso il linguaggio fotografico. Questi mondi spesso inesplorati diventano dei mezzi inusuali che ci permettono di vedere delle cose sino a quel momento celate. Abbiamo tutti delle parti nascoste e oscure, che non vogliamo vedere perché ne abbiamo paura, è la nostra ombra. La mia, inoltre, è una visione fotografica cinematografica e narrativa.
2 | Da quanto tempo lavori con questa idea e perché?
Ho sempre fatto dei sogni molto inquietanti e oscuri. Li annotavo tutti in un’agenda, inizialmente li utilizzavo come materiale per i miei racconti, perché all’epoca scrivevo tantissimo. Poi, nel lontano 1997, decisi che dovevo trasformare tutto in immagini nitide come quelle che vedevo nei miei sogni. Mi avvicinai così a questo mezzo incredibile dai potenziali enormi che è la fotografia, che mi permise di sperimentare e raccontare le mie storie. Fù la scelta giusta per me, da allora non mi sono più separata da questo medium straordinario.
3 | Il mezzo espressivo e i materiali che utilizzi nella tua ricerca, quali questioni-concettuali e tecniche ti portano ad affrontare?
Il mio processo fotografico inizia molto prima, dall’onirico, dal sogno/incubo, dall’inconscio. Tutto questo viene elaborato per associazioni di idee e successivamente trasportato nella realtà attraverso il mezzo fotografico, che però è per sua natura doppio, uno specchio oscuro che riflette ciò che vogliamo far vedere, quindi avviene un doppio procedimento. La fotografia, utilizzando lo stesso linguaggio dell’inconscio, ossia le immagini, favorisce la regressione necessaria per entrare in contatto con il proprio perturbante.
4 | Descrivi il processo di lavoro con cui realizzi le tue opere e l’esperienza da cui ha origine.
Spesso lavoro attraverso quello che si definisce “automatismo psichico”, senza censure, come si verifica nel sogno durante la fase REM. Mi addentro nell’onirico, sondo il mio inconscio, per trarne un processo artistico e poi mescolarlo ad esperienze di vita vissuta e ricordi. E’ un processo piuttosto complesso. Una volta che visualizzo perfettamente la storia che voglio raccontare faccio un bozzetto e annoto la location e gli abiti di scena che deve indossare il personaggio. Quando mi trovo a scattare, lascio entrare un altro elemento importantissimo: la casualità. Dove ci si deve far trascinare da eventi completamente inaspettati che si deve essere pronti a dominare. Mi ritrovo a fantasticare sulle storie dei personaggi che coinvolgo. Da dove vengono? Chi sono? Quali segreti nascondono? Perché si trovano in quel luogo e cosa stanno facendo? Si conoscono tra loro? E cosa accadrà dopo? C’è un grandissimo senso d’attesa in tutti i miei scatti. La location assume un altro valore importantissimo. Deve dare una connotazione precisa a tutta la scena e al personaggio stesso. Tutto si trasforma. All’improvviso non ci troviamo più a Cagliari, ma per esempio in una città americana degli anni ’60.
5 | Definiresti questo processo un “metodo progettuale”? Perché?
Si assolutamente. È quasi un rituale che si ripete progetto dopo progetto.
6 | Che importanza riveste la progettualità nel tuo lavoro?
La considero una cosa importantissima. Nella vita di tutti i giorni sono una persona estremamente disordinata. Ma quando lavoro ad un progetto, devo seguire un metodo ben preciso. Un filo che lega tutti gli elementi tra loro. Costituisce anche un modo per tracciare un confine entro cui far esplodere la propria creatività, per poterla incanalare e controllare successivamente tutto il processo creativo, non di sicuro per limitarlo.
7 | Che rilevanza hanno, e come influiscono, nella tua produzione, le pratiche di tipo collaborativo?
Collaboro spesso con curatori e artisti nella realizzazione di progetti e mostre. E’ un aspetto fondamentale del mio lavoro che mi arricchisce tantissimo. Mi piace il confronto e l’energia che scaturisce dalla collaborazione con altri artisti, lo trovo davvero stimolante. Inoltre è sempre un onore per me quando un curatore scrive del mio lavoro e mi fa notare degli aspetti che altrimenti non avrei mai visto.
8 | Parlaci del momento in cui consideri un’opera o un progetto“finiti”.
È una sensazione molto precisa. So per certo quando una storia si è conclusa e ho necessità di iniziare un nuovo progetto. C’è un momento decisivo in cui penso: ok, questo è l’ultimo set di questa storia. Ma in realtà tutte le storie che racconto sono collegate tra loro.
9 | Qual è l’opera più rappresentativa del tuo percorso artistico? Per quali ragioni?
Sono molto legata al mio ultimo progetto, “Il Demone sotto la pelle”. Ho creato dei set molto complessi che non avrei mai pensato di essere in grado di fare. Alcuni li ho realizzati durante questo periodo assurdo, quasi distopico che stiamo vivendo. Per questo hanno assunto un valore ancora più importante per me.
10 | Qual è l’opera incompiuta più significativa nel tuo percorso artistico? Che valore ha assunto questa esperienza nella tua ricerca e per il tuo metodo di lavoro?
Per ora non ho opere incompiute, semmai ne ho in testa tante che vorrei realizzare.
11 | In che modo la tua produzione artistica si relaziona con il contemporaneo (in termini di idee, linguaggi, metodi, strumenti) e si proietta verso il futuro?
Faccio un genere fotografico molto particolare, che da un paio d’anni a questa parte ha assunto il nome di staged photography, un genere basato sulla messa in scena e sulla narrazione. Quello che mi interessa quando racconto una storia è il mistero e l’inspiegabile che è racchiuso in essa. Mi piace esplorare i luoghi più profondi della psiche umana.
12 | Secondo te, oggi, la creazione/produzione artistica tout court, con quale questione/ problema/ domanda non può fare a meno di confrontarsi?
Mi riferisco nello specifico al mio mondo, quello fotografico. Viviamo in un periodo storico dove tutto è già stato detto e fatto, e creare un nuovo linguaggio artistico è quasi impossibile. E’ in atto la cosiddetta rivoluzione digitale, che si è abbattuta sul territorio della fotografia.
Sul web la differenza fra qualità e popolarità (quantità di follower) non ha nessuna importanza, perché la maggior parte di questi follower sono abituati a immagazzinare fotografie usa e getta ogni giorno e più volte al giorno, e non a tutti è chiaro che ciò che fa la differenza è il metodo, il linguaggio, il concetto, non tutti sono in grado di leggere un’immagine fotografica. Oggi chiunque ha una pagina Facebook o Instagram su cui riversare la propria mole di fotografie che riproducono i più svariati generi fotografici. Come districarsi da questo intricato labirinto di immagini di ogni genere? Sono però convinta che tramite il racconto del proprio mondo interiore più profondo, attraverso un metodo, linguaggio e concetto ben precisi, è possibile creare ancora qualcosa di unico.
Francesca Randi | Intervista Zero
a cura di Eleonora Angiolini e Laura Vittoria Cherchi