DANILO SINI | INTERVISTA ZERO
Parole
…le parole che liberamente affiorano nella mente quando si lavora, e quelle che servirebbero poi a restituirle per iscritto, sono separate da una distanza enorme. Per queste ultime ci vuole sapienza e competenza. Per mia fortuna, alla testardaggine di rendere in forma scritta alcune idee che mi passano per la testa quando mi dedico ai miei lavori, è arrivato in aiuto un amico…
Seguendo quel suo consiglio ho preso le parole che a volte sento girare nel mio studio e nella mia testa – quelle dell’indice di questo libro* – le ho infilzate, e le ho appese. Come carte moschicide. E ho aspettato che qualcosa del pulviscolo vagante nell’aria vi restasse attaccato. Sperando anche che quelle parole, esposte con tanta evidenza, traessero da sé una qualche potenza e, soprattutto, una loro forza magnetica capace di attirare riflessioni, ricordi, dubbi e stupori. E questi, incollandosi alle parole, ripulissero l’aria circostante**.
* Vivente; Adornos; Fossi; Tatto; Vista; Ritratto; Grammatica; Attrezzi; Linea; Pittura; Ispirazione; Paesaggio (n.d.r.)
** Tullio Pericoli, “Arte a parte”, Adelphi Edizioni, 2021
Quali sono le parole che affiorano nella tua mente (e nel tuo studio) quando lavori?
Parole?
Difficile trovarne di ricorrenti, dipende da ciò a cui si sta lavorando… e perché non sensazioni, ricordi, odori, suoni, sapori o quant’altro possa essere arduo da definire con parole per chi usa colore, forma e luce come linguaggio o forma di espressione? Conscio del rischio di apparire banale, provo ad elencarne alcune che potrebbero aver visitato i miei pensieri mentre lavoravo ad alcune opere:
nichilismospiritualità
compassioneirrisione
gioiosainquietudine
rassegnatoconforto
riflessivaimpulsività
solareoscurità
sofferentegodimento
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1 | Qual è l’idea (teorica e/o formale) al centro della tua ricerca artistica?
2 | Da quanto tempo lavori con questa idea e perché?
Devo confessare che provo un po’ di disagio nel rispondere a un intervista per iscritto, nella quale lo sviluppo della discussione, che spesso si genera durante questo tipo di confronto, è negato dall’assenza di un immediato contraddittorio, in ogni modo capisco senz’altro le vostre esigenze condizionate da un progetto così articolato. Ma la cosa che mi crea più imbarazzo, collegandomi alle considerazioni di apertura, è parlare del mio lavoro/i nello specifico. Sono convinto che le opere, o meglio la totalità dell’opera, debbano parlare per se stesse e, a volte, anche di noi che le generiamo. Parlare, descrivere, motivare è come ammetterne una reale o presunta debolezza… altrimenti perché scegliere di esprimersi attraverso le arti visive e non attraverso quelle letterarie? (Reali e personali capacità personali a parte, ovviamente).
Forse, almeno per quanto riguarda me e l’ambito in cui opero, perché capita di non considerarle un reale mezzo di espressione, ma una necessità biologica? Forse perché sono esse a scegliere chi darà loro forma, incontrandoci attraverso un’intuizione, un disagio, un modo trasversale di interpretare l’habitat sociale della propria epoca, e spesso di quella che verrà, attraverso una visione condizionata da un anamorfismo di concetto del tutto personale?
In ogni modo, una caratteristica del mio lavoro, dagli esordi (1984 circa, per quanto riguarda le arti visive) sino ad ora, è una indiscutibile varietà nella forma e dei media utilizzati. Spesso ho esplorato simultaneamente percorsi di ricerca che a un approccio superficiale potrebbero apparire decisamente distanti tra loro.
Credo di poter identificare la base dalla quale si diramano tutte le successive linee di ricerca con il modo in cui la natura umana, nella sua più estesa e vaga accezione, determini me come individuo, attraverso esperienze (subite o cercate) e contesto (storico e sociale) rapportati alle varie fasi del mio percorso biologico, cronologico e storico/geografico di essere umano, e di come io, attraverso ciò, possa determinare o influenzare essa.
3 | Il mezzo espressivo e i materiali che utilizzi nella tua ricerca, quali questioni-concettuali e tecniche ti portano ad affrontare?
4 | Descrivi il processo di lavoro con cui realizzi le tue opere e l’esperienza da cui ha origine.
5 | Definiresti questo processo un “metodo progettuale”? Perché?
6 | Che importanza riveste la progettualità nel tuo lavoro?
Come ho detto, varie sono le sfumature, le variabili e le linee che determinano la totalità della ricerca, che come tale è, e deve essere, in costante divenire, perciò altrettanto vari saranno i media, gli strumenti, le questioni concettuali e tecniche che si incontrano (preferisco usare questo termine perché “affrontare” sembra presupporre un aspetto progettuale che non sempre è presente, come ad esempio in un certo tipo di pittura di natura istintiva ed emotiva, derivante da quel tipo di esigenza biologica di cui parlo sopra).
Mi è capitato di lavorare a una serie di dipinti realizzati con le sole mani, utilizzando cosmetici su tele libere di cotone da cui si ricavavano lenzuola, chiuso in uno spazio angusto, sulla scia di un determinato stato emotivo. Quello era ciò che avevo a disposizione, quello ero io e ciò ha creato il contesto. Nessuna progettazione, approccio ferino, strappavo via la pelle dalle mie dita (senza rendermi conto, a causa dell’effetto emolliente dei cosmetici) e le immagini da delle lenzuola bianche e le accatastavo sul pavimento. Solo dopo qualche tempo, osservando per la prima volta i dipinti, mi resi conto di quanto fossero coerenti, nonostante la loro evidente diversità formale, con la linea di ricerca precedente e a cui stavo ancora lavorando. Essendo diventata in corso d’opera una serie di lavori, a cui come tale ho dato anche un titolo, potrebbe lasciar pensare a una progettazione di base, ma così non fu.
Un lavoro di progettazione lo si può invece trovare in altre serie di dipinti, ed è proprio l’aspetto seriale che ne determina l’esigenza, trasformando il valore concettuale del singolo dipinto, nel momento in cui lo si vede, nella globalità del progetto, mentre assume un ruolo fondamentale per quanto riguarda l’installazione, il video e la fotografia, intesi come media finalizzati alla realizzazione di opere concettuali.
La mia tendenza al concettuale mi spinge a considerare l’opera intuita, teorizzata e sviluppata nella progettazione come potenzialmente completa, a prescindere dalla realizzazione. La progettazione diventa necessaria nel momento in cui sia impossibile prescindere da manodopera di supporto per la generazione fisica dell’opera. In caso contrario, in determinate situazioni, un fattore progettuale elastico, soprattutto nel caso di alcune installazioni, può contribuire positivamente alla risoluzione dell’opera.
La realizzazione della quasi totalità delle mie opere non ha richiesto supporto esterno, lavoro spesso con ciò che posso permettermi (è capitato che possibilità limitate abbiano aperto porte per alcune delle mie migliori intuizioni) e negli spazi più vari, amo utilizzare tutto ciò che mi incuriosisce e di conseguenza produce stimoli, sia in termini di materiali e strumenti che di contenuti. Utilizzo qualsiasi cosa possa permettermi di interagire su più livelli, che possa stimolare qualsiasi tipo di sensazione o senso o ragionamento. Ho realizzato opere che si possono o devono vedere/guardare e odorare, toccare, assaggiare, rompere, completare, sentire (non solo con le orecchie), partecipare, raccontare, pregare, leggere, temere, amare, odiare, ecc. o che ritraggono chiunque si ponga innanzi a loro, nel momento in cui è, è stato o sarà… pur essendo, ognuna di esse, un mio autoritratto.
7 | Che rilevanza hanno, e come influiscono, nella tua produzione, le pratiche di tipo collaborativo?
Se ci si riferisce a momenti di incontro e scambio è superfluo parlare dell’importanza che possono avere nell’ambito della nostra evoluzione. Se parliamo di realizzazioni di progetti, o opere a più mani, si tratta più che altro di rarissimi episodi.
Ho avuto, invece, diverse esperienze nell’organizzazione di collettive, cicli di mostre, pubblicazioni e riviste d’arte nelle quali non era per forza prevista la presenza di miei lavori.
8 | Parlaci del momento in cui consideri un’opera o un progetto“finiti”.
Ho lasciato dei dipinti volutamente incompleti in modo estremamente evidente perché ciò li rendeva più forti dal punto di vista formale e dei contenuti e quindi, paradossalmente, più completi. Per quanto riguarda i progetti, la cosa è differente. Del progetto relativo alla singola opera, ne ho già parlato precedentemente; inteso come linea di ricerca, invece, per quanto mi riguarda sono sempre in divenire, non li considero mai completi, mi capita di abbandonarli perché incuriosito da una nuova o più stimolante intuizione. Capita, a volte, dopo diverso tempo, di riprendere lì dove mi ero fermato perché una delle nuove linee di ricerca su cui mi trovo a lavorare confluisce nuovamente verso quella direzione, stimolando così la realizzazione di nuove opere collocabili nel contesto contemporaneo.
9 | Qual è l’opera più rappresentativa del tuo percorso artistico? Per quali ragioni?
Sinceramente non saprei. Se ci riferiamo all’opera completa dall’inizio della mia esperienza al momento in cui rispondo a questa domanda, nel bene e nel male, direi tutta, ma riferendoci ad una unica opera non sarei in grado, ogni lavoro ha avuto il suo peso nel contesto in cui è stato realizzato.
10 | Qual è l’opera incompiuta più significativa nel tuo percorso artistico?Che valore ha assunto questa esperienza nella tua ricerca e per il tuo metodo di lavoro?
Vale lo stesso discorso della domanda precedente. In questo caso, come opera incompiuta mi riferirei alla totalità del mio percorso biologico, intellettuale e forse spirituale in quanto essere umano, in ognuno dei suoi aspetti, anche il più privato. Ecco, è questa l’esperienza di opera incompiuta che influenza e determina la mia ricerca e i metodi di lavoro, ma è ciò che ho già detto in riferimento alla prima domanda.
11 | In che modo la tua produzione artistica si relaziona con il contemporaneo (in termini di idee, linguaggi, metodi, strumenti) e si proietta verso il futuro?
Come succede con la letteratura, ad esempio, anche nelle arti visive si lavora spesso su opere e concetti che risultano anacronistici alla loro contemporaneità e destinati ad inserirsi in un contesto sociale futuro. A volte avviene in modo inconscio, senza la precisa volontà dell’autore, e ciò è dovuto a quella sensibilità che solo pochi possiedono e che, come esseri appartenenti a una natura ancora selvaggia, permette loro di anticipare istintivamente eventi e mutazioni. A volte, avviene a causa di quell’anamorfismo di concetto attraverso cui osserviamo la realtà della nostra contemporaneità e ci permette di interpretare il futuro e relazionare la nostra opera con esso, rendendo noi e il nostro lavoro estranei ai nostri tempi.
12 | Secondo te, oggi, la creazione/produzione artistica tout court, con quale questione/ problema/ domanda non può fare a meno di confrontarsi?
Arduo rispondere a questa domanda. In base alla mia esperienza, posso dire che non ho mai visto maggior distanza tra umanità e (il mio personale concetto di) arte, come quella che le separa in questo momento. Credo che chiunque, qualunque ruolo voglia assumere, intenda confrontarsi con ciò che, generalizzando o per convenzione, definiamo produzione artistica, debba capire in tutta onestà quale sia il suo approccio, perché lo fa e cosa vuole ottenere. Rispetto a questo, la mia idea è piuttosto distante da quella che sembra caratterizzare questi confusi e poveri tempi, non solo rispetto a quello che riguarda ciò che proviamo a definire creazione/produzione artistica. Personalmente non credo di avere mai trovato ciò che cercavo, qualcosa che potessi in piena coscienza definire arte… forse in alcune mie opere, durante il corso della mia ricerca, ho avuto la sensazione di avvicinarmi o avvertirne la presenza. È difficile da comprendere e definire, tanto più rendere questo personale concetto comprensibile per altri: è la disperata ricerca di qualcosa in cui credere da parte dell’idealista tradito dalla sua rivoluzione, è l’oggetto di culto della liturgia celebrata dall’ateo, è il rifugio dell’animale selvatico in via d’estinzione che fugge la civiltà ma sopravvive cercando cibo nelle discariche delle città, o che altro… ora, alla luce di ciò, non sono in grado di dare una risposta concreta alla domanda.
Penso che per quanto possa essere proiettata verso il futuro, la creazione/produzione artistica, in fin dei conti, sia un prodotto del proprio presente (con ovvi e imprescindibili collegamenti al passato) e con il proprio presente si confronta. Ogni epoca genera la sua società e, a sua volta, ne è determinata, e ciò che questo meccanismo produce è commisurato ad esse… perciò, guardandovi intorno, ditemi voi che vedete e quale sia la risposta…
Mi scuso per aver gestito le domande un po’ a mio modo…
Danilo Sini | Intervista Zero
a cura di Eleonora Angiolini e Laura Vittoria Cherchi