RACHELE SOTGIU | INTERVISTA ZERO
Parole
…le parole che liberamente affiorano nella mente quando si lavora, e quelle che servirebbero poi a restituirle per iscritto, sono separate da una distanza enorme. Per queste ultime ci vuole sapienza e competenza. Per mia fortuna, alla testardaggine di rendere in forma scritta alcune idee che mi passano per la testa quando mi dedico ai miei lavori, è arrivato in aiuto un amico…
Seguendo quel suo consiglio ho preso le parole che a volte sento girare nel mio studio e nella mia testa – quelle dell’indice di questo libro* – le ho infilzate, e le ho appese. Come carte moschicide. E ho aspettato che qualcosa del pulviscolo vagante nell’aria vi restasse attaccato. Sperando anche che quelle parole, esposte con tanta evidenza, traessero da sé una qualche potenza e, soprattutto, una loro forza magnetica capace di attirare riflessioni, ricordi, dubbi e stupori. E questi, incollandosi alle parole, ripulissero l’aria circostante**.
* Vivente; Adornos; Fossi; Tatto; Vista; Ritratto; Grammatica; Attrezzi; Linea; Pittura; Ispirazione; Paesaggio (n.d.r.)
** Tullio Pericoli, “Arte a parte”, Adelphi Edizioni, 2021
Quali sono le parole che affiorano nella tua mente (e nel tuo studio) quando lavori?
pittura
polvere
ironia
vaso
noia
silenzio
solitudine
finestra
spazio
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1 | Qual è l’idea (teorica e/o formale) al centro della tua ricerca artistica?
Mi interessa lavorare su immagini che abbiano dei rimandi non definiti. Mi piace che un lavoro abbia diverse interpretazioni. Ho lavorato molto sugli oggetti e sugli interni e sul loro valore simbolico. Mi piacerebbe, ma non sempre riesco, riuscire a dare l’impressione di raccontare una storia priva di significato concreto, che resti sospesa o insensata. Nei dipinti degli ultimi anni credo sia più visibile l’oggetto come soggetto del lavoro.
In generale mi concentro sopratutto sul togliere il più possibile, anche se non riesco a eliminare mai abbastanza.
2 | Da quanto tempo lavori con questa idea e perché?
L’idea di costruire una storia senza storia è sempre stata presente, dal periodo dell’università, nel 2008, quando ho tappezzato i pavimenti del bagno dell’Accademia di cotone e ho nascosto degli oggetti di uso domestico al suo interno. Era un lavoro molto goffo e ingenuo ma sottintendeva questa intenzione. Anche se poi nella carta parlavo della condizione femminile.
Oppure quando ho costruito centinaia di piccolissimi cuscini bianchi che occupavano lo spazio e uscivano dal cassetto di una scrivania. Fino ad oggi, nelle ultime tele lavoro su interni di abitazioni in cui accadono delle cose, come un tappeto che prende fuoco, o una serie di bottiglie, posaceneri e vasi raggruppati nell’angolo estremo di un tavolo. Mi sembra che tutti questi lavori abbiano lo stesso tema comune. Uno scenario che appare un po’ paradossale e un po’ incomprensibile.
3 | Il mezzo espressivo e i materiali che utilizzi nella tua ricerca, quali questioni-concettuali e tecniche ti portano ad affrontare?
Il mezzo che scegliamo credo ci somigli. Attualmente il mio lavoro spazia tra dipinti ad olio e ceramica, ma amo inserire oggetti reali nello spazio, in modo da creare degli scenari e una chiave che colleghi la presenza reale all’immagine dipinta.
Quando ho utilizzato l’argilla l’ho estratta di persona dalla cava, l’ho filtrata a mano per giorni fino al raggiungimento della grana giusta. Mi piace conoscere il processo per arrivare a un materiale anche perché è un modo utile per capirne le criticità. Sono una persona molto pratica, trovo che il tatto sia essenziale per comprendere il mondo. Le rare volte che ho lavorato con il video l’ho fatto sempre con immagini che riportavano ad una gestualità.
4 | Descrivi il processo di lavoro con cui realizzi le tue opere e l’esperienza da cui ha origine.
Il metodo si costruisce con il tempo. Per me, è importante arrivare ad uno stato di concentrazione, che può essere solitaria come non. A volte qualcosa nasce nel momento più inaspettato, altre idee occupano la testa per anni. Comunque, nella pratica, l’arte occupa tutta la mia giornata. Attualmente non ho uno studio, sono in un momento di transizione, ed è molto difficile riuscire ad esercitare quella concentrazione.
5 | Definiresti questo processo un “metodo progettuale”? Perché?
Non so se posso chiamarlo metodo, sicuramente scrivere, disegnare, fare o raccogliere foto, prendere appunti mi aiuta a riordinare.
6 | Che importanza riveste la progettualità nel tuo lavoro?
Inizialmente facevo molta fatica a concludere un lavoro perché la parte progettuale mi sommergeva. Partivo da una sincera curiosità ma poi creavo archivi infiniti, ricerche infinite che, anziché avvicinarmi alla sintesi, mi rendevano più smarrita. Vivere a Bruxelles mi ha sbloccata. Mi sono resa conto che questo metodo era sbagliato, o almeno lo era per me. La parte di ricerca e archiviazione esiste ancora, mi serve per conoscere, però adesso ho meno aspettative e seguo l’intuizione.
7 | Che rilevanza hanno, e come influiscono, nella tua produzione, le pratiche di tipo collaborativo?
Sono affascinata delle pratiche collaborative e allo stesso tempo le trovo molto faticose. Nella mia produzione non sono essenziali, ma le volte che ho avuto occasione di collaborare l’ho trovato davvero arricchente.
8 | Parlaci del momento in cui consideri un’opera o un progetto“finiti”.
La fine di un lavoro arriva quando è terminato quello che potevo dire, o comunque quando mi rendo conto che sono entrata in un manierismo che non aggiunge nulla a quello che ho già fatto. Ho senza dubbio molti più lavori inconclusi che conclusi.
9 | Qual è l’opera più rappresentativa del tuo percorso artistico? Per quali ragioni?
È un piccolo olio su tela, sui toni del marrone. Su uno sfondo neutro, al centro della tela, c’è dipinta una vaschetta in legno con dell’acqua all’interno, questo è uno dei lavori davvero finiti che non mi ha mai stancata, che potrei guardare per ore senza annoiarmi o pensare di cambiarlo.
10 | Qual è l’opera incompiuta più significativa nel tuo percorso artistico?Che valore ha assunto questa esperienza nella tua ricerca e per il tuo metodo di lavoro?
Credo che tutto sia incompiuto, nel senso che mi sembra di ripetere sempre lo stesso lavoro all’infinito ma non arrivare mai alla chiave finale. In un certo senso, posso dire che tutti i miei lavori nascondono il fallimento o la frustrazione (positiva) di non essere come li vorrei. Questa è la ragione che mi costringe a migliorarmi.
Parlando invece di un progetto rimasto realmente incompiuto a cui tengo: si tratta di un lavoro fotografico in cui ho immaginato di fotografare tutte le persone che abitano la stessa città. Mi piaceva l’idea che il lavoro potesse essere infinito e impossibile da realizzare, perché ovviamente nascono sempre nuove persone, altre se ne vanno, altre ancora arrivano. Però la città che avevo scelto è tutto sommato piccola, e immaginavo che a un centro punto si sarebbe creato un archivio fotografico consistente in cui contenere nonni e nipoti. Attualmente è un lavoro fermo, magari un giorno riuscirò ad organizzarne meglio la riuscita.
11 | In che modo la tua produzione artistica si relaziona con il contemporaneo (in termini di idee, linguaggi, metodi, strumenti) e si proietta verso il futuro?
Non so cosa sia il contemporaneo, di base non conosco nessuno, non esco, abito in una piccola città al centro della Sardegna in cui l’arte contemporanea si può dire non esista, un luogo perfetto per ricominciare, essere anonimi e indisturbati. Io sono qui, e questo mi interessa. Come il mio lavoro si relaziona con gli altri non lo so, forse neanche mi importa. Farei questo in ogni caso. Forse quello che ho detto non è tanto contemporaneo.
12 | Secondo te, oggi, la creazione/produzione artistica tout court, con quale questione/ problema/ domanda non può fare a meno di confrontarsi?
Sposterei l’attenzione non sul cosa, ma sul come approcciarsi a qualsiasi questione. A mio giudizio, lo si dovrebbe fare con dignità.
Sicuramente, un altro tema impossibile da non prendere in considerazione è quello del lavoro femminile e della condizione lavorativa delle artiste. E sono molto contenta che sia nata un’associazione come AWI che in parte se ne sta occupando.
Rachele Sotgiu | Intervista Zero
a cura di Eleonora Angiolini e Laura Vittoria Cherchi